L’ex centrocampista, ai microfoni de LaBaricalcio, inquadra il momento del club biancorosso
Nel 1997, nonostante un ritardo importante a tre quarti di stagione, il Bari riuscì a conquistare un’insperata promozione in serie A. Di quella squadra faceva parte anche Dodo Giorgetti, prelevato dal Ravenna e in riva all’Adriatico fino al 2000, prima del passaggio al Lecce. Adesso, il Bari cerca una nuova impresa, per tornare tra i cadetti nonostante le difficoltà incontrate in campionato.
Dodo, cosa non va in questo Bari?
“L’esonero e il richiamo di Auteri mi ha lasciato perplesso. Questo andirivieni di allenatori non è sinonimo di successo ma spero che il Bari ottenga la promozione. Senza solidità e programmazione, questi sono soltanto tentativi. La società deve dare importante segnali di stabilità, altrimenti il rendimento dei calciatori ne risente”.
Ne sai qualcosa, vista la tua esperienza a Bari.
“C’era la contestazione, i risultati non arrivavano ma la società è stata caparbia. Ha confermato l’allenatore nonostante le difficoltà e al termine del campionato abbiamo raggiunto l’obiettivo”.
Tu eri tra i più bersagliati dalla critica.
“Ero il calciatore in maggiore difficoltà, ma il il club e l’allenatore non mi hanno mai fatto mancare fiducia. In generale, questo porta il calciatore a crescere e migliorare il proprio rendimento”.
Adesso per il Bari arrivano i playoff. Cosa conta in queste gare?
“L’entusiasmo e la freschezza mentale. Quest’ultima, non nascondo, rappresenta il 70-80% del calciatore. Occorre partire subito bene”.
Una domanda personale: hai perso tre compagni di viaggio con cui hai condiviso l’esperienza a Bari: Ingesson, Mancini e Masinga. Cosa ti lascia questa tremenda esperienza?
“Bisogna vivere ciò che più di dolce la vita ci concede. Queste disgrazie fanno comprendere quali sono le reali problematiche e quali sono le cose futili. Ho vissuto maggiormente Klas (Ingesson, ndr), a lui ero legatissimo perché c’era tanta stima reciproca. Non accetto che abbia dovuto soffrire così tanto prima di spegnersi. Era un punto di riferimento, un leader riconosciuto da tutti”.