Il fantasista argentino si racconta ai microfoni di RadioBari
Ruben Botta si racconta. Lo fa ai microfoni di RadioBari, soffermandosi su aspetti umani più che calcistici: “E’ la prima volta che sono a Bari, mi hanno subito accolto tutti bene – esordisce il trequartista delBari – Tutti i compagni mi aiutano. Questo è molto importante per me che sono lontano da casa e dalla famiglia: sono con mia moglie e con i miei figli, ma è difficile stare lontano da casa. Quando arrivai a Milano c’erano un paio di argentini in squadra e fu più facile per quello perché io non capivo molto l’italiano. Anche a San Benedetto c’erano degli argentini e tendevo a parlare più spagnolo che italiano, qui devo imparare per forza la lingua ed è meglio così”.
Poi, una battuta sugli inizi di carriera: “Quando ero piccolo mi piaceva troppo giocare a calcio, mio padre era allenatore e mi portava sempre con lui. Anche lui ha giocato, lui è stato il mio modello. L’idolo calcistico? In Argentina ho visto giocare Riquelme, ero tifoso del Boca e lui mi è sempre piaciuto”.
A chiudere, sulla scelta del numero di maglia: “Il numero 10 è una maglia importante, una maglia che mi piace, una maglia indossata da tanti giocatori importanti. Nel calcio, però, la maglia non vuol dire nulla”.