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Serie C, Ghirelli a Spadafora e Speranza: “Protocollo va rivisto. Stadi? Riaprire agli abbonati”

Il numero uno della Lega Pro invoca interventi dalla politica per arginare l’impatto negativo del covid sulla C

L’inizio della nuova stagione calcistica è alle porte: il 27 settembre, salvo stravolgimenti che al momento non sembrano all’orizzonte, dovrebbe aver luogo la prima giornata di Serie C, tra tamponi e stadi ancora miseramente vuoti. A proposito di questo argomento si è espresso ancora una volta Francesco Ghirelli, Presidente della Lega Pro, il quale ha invocato interventi dalla politica per contenere l’impatto negativo del covid sulla terza serie italiana.

“Dal confronto con i nostri club – afferma Ghirelli in una nota sul sito ufficiale della Lega Pro – sono indispensabili alcuni segnali della politica sportiva e sanitaria. Noi, della Serie C , siamo stati i primi che di fronte ai segnali che provenivano dal Covid-19, abbiamo chiuso gli stadi e sospeso le partite. Abbiamo credibilità nel parlare perché la salute per noi è sempre stata al primo posto e sempre lo sarà. Il tempo stringe sempre di più”.

Rivolgendosi al ministro dello Sport Vincenzo Spadafora e al ministro della Salute Roberto Speranza, Ghirelli ha caldeggiato in primo luogo una revisione del protocollo sanitario: “Fermo restando la sicurezza, dobbiamo allungare l’intervallo temporale per gli esami da tampone. Non reggiamo finanziariamente. Mi permetto di dire che ogni quattro giorni l‘ esame è anche invasivo. Abbiamo bisogno, altresì, di regole di applicazione del protocollo più semplici, per alleggerire organizzazione e costi”.

Netta la posizione in merito alla riammissione del pubblico allo stadio: “Se non si riapre facciamo un danno irreparabile. Partiamo con una percentuale di abbonati. Abbonamenti perché? Sono nominativi, possiamo scaglionare le entrate allo stadio, possiamo incanalare le uscite per aree. Con gli abbonamenti leniamo un poco le difficoltà finanziarie dei club. Se perdiamo club, il nostro Paese diventa più povero in termini di occupazione, di indotto, di fisco e diventa più triste perché perde la forza di un gioco, quello del pallone. Il rischio di perdere un patrimonio umano, del calcio, del territorio e delle nostre tradizioni è concreto”.

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