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Il commento. Il San Nicola come il Bari: 30 anni tra illusioni e promesse non mantenute

L’astronave di Renzo Piano doveva essere il mezzo per l’approdo verso un’altra dimensione, ma, tra alti e bassi, il decollo non è riuscito. Eppure, lo stadio barese resta un affare allettante.

Nell’immaginario collettivo barese, lo stadio Della Vittoria sarà pure il più amato, il più avvolto nella mitologia. Ma le generazioni dai 40enni di oggi in giù hanno trovato nel San Nicola la casa abituale. Sembrava tutto così magico, quel 3 giugno 1990. Quel colosso che giorno per giorno diventava più grande e maestoso finalmente prendeva vita. Entrandoci, sembrava di mettere un piede nel futuro, in una vera astronave, così come il progettista Renzo Piano aveva ribattezzato la sua creatura. Non mancarono le critiche: la visuale ai tanti abituati a vedere i calciatori da vicino sembrava imperfetta. Eppure, il mondiale del 1990, con le sue emozioni, i colori, i tifosi provenienti da tutto il mondo, portò a Bari una magia che ancora oggi vive con immutata dolcezza nei cuori di chi l’ha assaporata.

Sembrava tutto perfetto, quell’estate del ’90. Lo stadio nuovo, il Bari in serie A con tante ambizioni, la famiglia Matarrese ai vertici dell’imprenditoria edilizia, del calcio italiano, della politica. Il San Nicola era il mezzo di trasporto avveniristico per portare il Bari in una dimensione differente, a scendere da quel maledetto ascensore per radicarsi nel massimo campionato, con tanto di vista sull’Europa. Non è andata come si sperava, sebbene il primo decennio sia stato dignitoso, con i galletti più in A (nove volte) che in B (tre, ma con due promozioni), i grandi eventi (la Coppa dei Campioni, i Giochi del Mediterraneo, la nazionale), le ambizioni comunque intatte. Fa male pensare come il castello sia crollato in un sol colpo: dal 2001 la storia del Bari e del suo stadio è andata di pari passo, divenendo sempre più modesta, regalandosi la sola illusione del biennio 2008-10 (con il ritorno in A), per poi ripiombare in un dramma ancor più fitto, con i due fallimenti (2014 e 2018) a fare da punto più basso rispetto alle retrocessioni, al calcioscommesse, alle penalizzazioni. E nel frattempo lo stadio perdeva la copertura, il funzionamento dei tabelloni, lo smalto dei bei tempi. E’ strano come Bari ed il San Nicola vivano un momento così simile a quello causato della pandemia: sei lì alla finestra, a pensare a ciò che puoi o non puoi fare, a trascorrere giornate a metà, ad interrogarti su quello che succederà chiedendoti quando tornerai a vivere a pieni polmoni.

Beh, il Bari in C è una vita a metà, un’attesa per capire quale sarà l’approdo finale della nuova era griffata dalla famiglia De Laurentiis. Le potenzialità ci sono, eccome. La nuova proprietà possiede risorse e competenze per portare il Bari laddove tutti sognano. E il San Nicola resta un affare dalla portata straordinaria: ammodernato ai canoni contemporanei (il progetto già approvato dall’entourage di Renzo Piano aspetta solo chi possa realizzarlo), può sviluppare vita in un’area della città ancora immacolata. Basterebbe crederci. 30 anni fa era difficile contare le pulsazioni quando si varcavano le porte di quel tempio. Serve ricreare quell’emozione. Perché, dal calcio alla quotidianità, la vita è troppo preziosa per essere soltanto “a metà”.

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